Ovvero: costretta all’immobilità, trovando senso alle ore che passano, alla solitudine, alle indispensabili cure quotidiane in una dilatazione del tempo cui non si è abituati… affidandosi a sconosciuti che prestano, come possono, le attenzioni sanitarie, di passaggio in passaggio…
Sembrava una conquista giornaliera riempire di impegni le mie giornate fatte di incontri, riunioni, contatti vari. Non perdevo le occasioni belle di vedere mostre, musei, cinema. La pila dei libri appena freschi di stampa saliva da tutte le parti in casa: scrivania, comodino, tavoli vari erano invasi. Vita piena si direbbe, riempita fino all’orlo, anzi, fino in cima (perché non mancava certo l’aspetto religioso di una fede da coltivare e far crescere).
Poi all’improvviso la brusca frenata che ti atterra letteralmente (entrambe le gambe fratturate). E dalla prima autoambulanza che ti ‘raccatta’ con tanta difficoltà da terra, capisci che nulla sarà come prima, che ti devi affidare a chi cercherà di rimediare i danni, fidandoti di sconosciuti ai quali affidi parti importanti di te.
E inizia un cammino che fai senza sapere dove ti condurrà. Già dalla velocissima dimissione dall’ospedale capisci che l’aria intorno si fa pesante che il Covid misterioso avanza. Impossibile un rientro a casa vista la mia condizione di totale immobilità. Entro in un prima struttura ‘riabilitativa’ che non riabilitava proprio niente: ero in un abbandono totale.
Passo ad una seconda: va decisamente meglio! Vengono fatti tutti i controlli approfonditi, inizio una ginnastica per quel che la situazione consente, ma dopo pochi giorni anche lì vedo mutare improvvisamente l’abbigliamento degli infermieri che diventano ‘palombari’ con scafandri ermetici.
Ed ecco il primo tampone (negativo) e la relativa seconda ‘fuga’. Approdo alla terza e definitiva struttura, finalmente! Ma e i giorni… e le ore..e le notti..come passano? E’ la domanda dei tanti che chiamano, messaggiano: “Come fai a resistere in questa situazione e in quasi totale solitudine?” Ho imparato l’infinita pazienza dell’attesa che non è passiva anzi. Ci si accorge che il tempo non ci appartiene ma non fugge anzi si dilata, si sospende. Sta a te riempirlo con inquietudine o con ricordi piacevoli. Suoni un campanello per un bisogno impellente e non hai subito una risposta: allora pensi a quanti aspettano risposte per una vita molto più di te! Non puoi scendere dal letto senza un aiuto e allora pensi a chi questa condizione la vive per una vita intera. Non puoi uscire da una stanza? Allora pensi che forse stanno ‘meglio’ i prigionieri che almeno hanno un’ora d’aria… Impari che il tuo corpo è importante e non puoi più pretendere cose che non può più fare, ma nello stesso tempo, capisci che tu non sei il tuo corpo, sei molto di più. E ti ripassano dal cuore le mille cose belle vissute, la ricchezza di tante relazioni che adesso intasano anche il telefono di casa. Poi c’è anche la paura di non poter rivedere le persone che ami, che sono lontane e sperimenti la totale impotenza in ogni caso di poterle aiutare. Anche lì però ti viene in soccorso il “buon vicinato” i “familiari” che prestano soccorso ad un marito anziano rimasto solo in casa. Allora ripensi ai tanti litigi, alle inevitabili incomprensioni, e vorresti non solo cancellare tutto ma arrivare a dire: era tutto bello anche quello che ci faceva inquietare. Non sono stata sola mai in questa ‘tempesta’ ero assicurata da tanti ‘ganci al cielo’ : tanti, tanti amici di azione cattolica e non…..che mi hanno sostenuto con infinito affetto e preghiera attraverso i social con i mille “buongiorni” e “mille notti serene”) ma anche visite improvvise e un po’ ..clandestine
Sono rientrata a casa da qualche giorno, ancora ci vorrà qualche mese per un recupero totale (se mai lo sarà). Ci vorranno quasi 9 mesi (mi disse il primo ortopedico). State sicuri però, non partorirò.. ma forse rinasco… come diceva Nicodemo, lo si può fare anche da vecchi!
Carla
Domenica 21 Giugno – inizio estate